Con il d.l. 70/2011 (cosiddetto “decreto sviluppo”) diventato legge 106/2011, e il dl 98/2011 (cosiddetto “decreto stabilizzazione”) diventato legge 111/2011, l’avviso di accertamento diviene titolo esecutivo al pari della cartella esattoriale. Entrambi danno luogo a riscossione coattiva e possono essere oggetto di impugnazione e richiesta di sospensiva con differenti termini.
Stante questa nuova disciplina, la cartella esattoriale non è più un atto obbligatorio per la riscossione del credito, l’amministrazione potrebbe limitarsi alla sola notifica dell’avviso di accertamento.
Per la cartella esattoriale, vige la precedente disciplina, che prevede il termine perentorio di 60 giorni dalla notifica dell’atto, perché il contribuente possa proporre ricorso. Per l’avviso di accertamento, il termine è di 90 giorni. Scaduto il termine, l’atto è trasmesso al concessionario per la riscossione coattiva. Nel caso dell’avviso di accertamento, se il contribuente propone ricorso e istanza di sospensione, l’agente di riscossione deve applicare automaticamente una sospensione delle azioni esecutive fino alla decisione del giudice tributario, ovvero per un massimo di 180 giorni: il giudice tributario ha contestualmente 180 giorni per pronunciarsi sulla richiesta di sospensiva, termine oltre il quale si intende respinta.
Il contribuente che propone ricorso è tenuto ad anticipare il 30% dell’importo oggetto di contestazione (quota ridotta dal 50% previsto prima della riforma).
Con l’attuale procedimento, risulta penalizzato il diritto di difesa, in quanto l’anticipo del 30% della sanzione entro il termine di 60 giorni è un presupposto per proporre ricorso, incompatibile con la presunzione d’innocenza. Il procedimento non prevede deroghe al pagamento: né a posteriori la facoltà di presentare un’istanza di sospensione per danno grave e irreparabile (contemplata per le sole azioni esecutive), né a priori un tetto massimo all’importo da anticipare in relazione al reddito dichiarato del contribuente, o presumibile da riferimenti normativi di settore. Viceversa, chi non propone ricorso, può chiedere all’agente di riscossione una dilazione e rateizzazione dei pagamenti.
In secondo luogo, caso unico nell’ordinamento, la legislazione introduce un termine di prescrizione alla durata dei ricorsi che si pone a svantaggio della difesa, in quanto si preclude al contribuente la sospensione delle azioni esecutive qualora il giudice tributario non si pronunci entro 180 giorni dalla presentazione dell’istanza.
Il termine di 60 giorni per le cartelle esattoriali è improprio, in quanto la disciplina di tale ricorso, è ripresa da quella della citazione nel processo civile. Il ricorso va dunque preventivamente notificato all’ufficio che ha emesso l’atto, entro il sessantesimo giorno dalla notifica dell’atto stesso, a pena di decadenza. I termini per impugnare sono sospesi tra il 1º agosto e il 31 agosto, per la sospensione feriale dei termini. La notifica può farsi, oltre che tramite ufficiale giudiziario, anche mediante consegna a mano all’ufficio che ne rilascia ricevuta (trattandosi di uffici pubblici la ricevuta di protocollo costituisce prova della consegna) o a mezzo posta mediante plico raccomandato senza busta.
Entro i trenta giorni successivi, il ricorrente deve depositare il ricorso notificato alla segreteria della commissione tributaria provinciale, unitamente ai documenti da presentare e all’atto impugnato (o ad una copia). L’ufficio si costituisce entro 60 giorni dall’avvenuta notifica del ricorso, depositando l’atto di controdeduzione alla segreteria della commissione. L’eventuale mancata costituzione dell’ufficio nel termine non produce alcun effetto sostanziale, potendo l’ufficio costituirsi anche in udienza, ma soltanto alcune decadenze processuali (ad es. l’impossibilità di produrre documenti prima dell’udienza, la notifica degli atti presso la segreteria della commissione ecc.). Questa circostanza va ricondotta al fatto che mentre il contribuente è attore formale del procedimento che si avvia per sua iniziativa, l’attore sostanziale è l’Amministrazione che è chiamata davanti al giudice a dimostrare la fondatezza della propria pretesa.
La situazione processuale è la seguente:
– l’atto impositivo dell’amministrazione (attore sostanziale) deve indicare i fatti costitutivi della pretesa tributaria: non è ammessa l’allegazione di nuovi fatti successivamente all’emissione dell’atto stesso. La legge prevede che l’atto, in quanto provvedimento amministrativo debba essere motivato. I fatti e le motivazioni indicate nell’atto impugnato costituiscono l’oggetto del processo, essendo precluso alle parti l’estensione del contenzioso ad altri elementi estranei all’atto impugnato, almeno di regola;
– il ricorso del contribuente (attore formale) dovrà contenere l’indicazione dei fatti estintivi, impeditivi o modificativi della pretesa tributaria, tipici invece dell’atto di comparsa del convenuto nel processo civile. Si noti che l’allegazione di nuovi fatti successivamente al ricorso è preclusa, mentre è ammesso il deposito di documenti utili ad illustrare tali fatti e di memorie esplicative;
– le controdeduzioni dell’ufficio si limiteranno a contrastare i motivi del ricorso, senza poter introdurre nuovi fatti nella controversia e a proporre eventuali eccezioni non rilevabili d’ufficio. Di regola, non è consentito impugnare un atto contestando vizi di un atto presupposto non precedentemente impugnato: ad esempio in caso di impugnazione del ruolo conseguente ad un avviso di accertamento, non è ammissibile il ricorso che contesti nel merito la fondatezza dell’accertamento, ma il ricorrente dovrà evidenziare eventuali vizi propri del ruolo. La regola dell’impugnazione degli atti esclusivamente per vizi propri, conosce un’importante eccezione quando il ricorrente ritiene di contestare l’irregolare notifica dell’atto presupposto. In tale circostanza, egli non avendo potuto impugnare a suo tempo l’atto non notificato o notificato irregolarmente, potrà proporre contestazioni di merito in sede di impugnazione dell’atto conseguente (così se si contesta la notifica dell’accertamento, si può attendere la notifica del ruolo e impugnando quest’ultimo contestare la mancata notifica dell’accertamento e nel merito anche la sua fondatezza). Il giudice, se ritiene fondato il vizio di notifica, deve qualora sia stato domandato nel ricorso, pronunciarsi anche sul merito.